Abstract
Il tema di questo articolo è la storicità delle scienze, ovvero la storicità inerente alla conoscenza stessa, al soggetto della conoscenza scientifica, alla ragione o alla razionalità scientifica: se le scoperte scientifiche accadono nel tempo, in una forma di progressività temporale, è legittimo affermare che questo valga anche per la ragione? Il termine ragione, che indica le strutture soggettive della razionalità, si riferisce a un’invariante noetica, a una qualche costituzione invariabile della mente, la quale non farebbe altro che dispiegare il suo sforzo conoscitivo nell’arco della storia rivolgendosi a problemi mutevoli e susseguenti, risultando quale presupposto di qualsiasi storia delle scienze e delle scoperte scientifiche? Oppure, al
contrario, la razionalità scientifica ammette un’evoluzione intrinseca, delle trasformazioni essenziali, persino delle rotture di stile o dei cambiamenti di paradigma? Partendo dalla tesi kantiana dell’invarianza strutturale della comprensione conoscitiva e da quella duhemiana del continuismo storico, contrapporremo ad esse l’epistemologia delle rotture o delle discontinuità inaugurata da Koyré, Metzger e Bachelard ben prima di Canguilhem, Kuhn e Foucault; il pensiero scientifico non si fonda mai direttamente sul mondo percettivo, ma
su un insieme di habitus pre-scientifici o scientifici precedenti che devono essere messi in discussione e superati.