Teoria e Critica della Regolazione Sociale

Call For Papers

La tecnica come narrazione: tra racconto mitico, diritto e politica

Calendario

Gli articoli proposti potranno essere pubblicati in parallelo in due versioni, in italiano e in francese, dalle riviste Teoria e critica della regolazione sociale, Mimesis. ed Études Digitales, Garnier (http://etudes-digitales.fr/).
TCRS assicurerà, per gli articoli che verranno selezionati per la doppia pubblicazione, la traduzione in lingua francese del testo.
Per i criteri di proposizione degli articoli si rimanda alle Linee guida per gli autori, per quanto non diversamente indicato in questa sede (ad es. lunghezza degli abstract). In quanto numero speciale, le lingue saranno principalmente l’italiano e il francese.
Invio degli abstract in italiano o francese (fino a 5000 caratteri a etudesdigitales@gmail.com, tcrs@mimesisedizioni.it, paolo.heritier@uniupo.it): 15 Dicembre 2020. Ricordiamo tuttavia di inviare contestualmente l’abstract e parole chiave in lingua inglese, come richiesto dalle linee guida TCRS.
Notifica di accettazione degli articoli: 22 Dicembre 2020
Termine per l’invio degli articoli: 15 marzo 2021.
Pubblicazione del numero: nel corso del 2021.
Curatori del numero: Jacques Gilbert (Letteratura comparata, Università di Nantes), Paolo Heritier (Filosofia del diritto, Università del Piemonte Orientale)
Lo sviluppo della ricerca sul tema continuerà poi, per chi fosse interessato, in una serie di incontri web e/o in presenza (i “Dialoghi”), organizzati tra l’Università del Piemonte Orientale e l’Università Cattolica di Milano nel corso del 2021, in vista di un’ulteriore pubblicazione nella collana di Antropologia della Libertà (Mimesis).

La rappresentazione narrativa del mondo tecnologico è, a prima vista, relativamente povera, pur se le produzioni letterarie, cinematografiche, o televisive, sono particolarmente numerose in questo settore. In effetti, nell’ultimo ventennio, il centro di questo campo finzionale è stato occupato da storie apocalittiche o post-apocalittiche, per lo più stereotipate.

Utopia / Distopia
Un gran numero di distopie racconta così la storia di società chiuse dietro gli angusti limiti di un mondo residuale che si ritiene “ancora vivibile”, allorché il mondo esterno appare infernale. Questa nuova forma di insularità, a differenza delle antiche utopie, non è concepita come embrione di un mondo che appare promettente, né come laboratorio di un esperimento politico fecondo, né, infine, come luogo di una scienza unificata e conciliatrice. Le distopie caratterizzanti tale insularità non presentano che l'impossibilità di una qualsiasi politica – sostituita da una gestione economicistica di una realtà ingannevole, in altre parole da una pura e semplice gestione della crisi permanente. Così, non solo queste matrici narrative non offrono alcuna alternativa, ma finiscono per non denunciare realmente lo stato vigente delle cose, indirettamente confermato nella sua insuperabilità.
All'estremità opposta dello spettro si sviluppa una narrazione “logico-scientifica”, per la quale l'efficacia della tecnica è prova indiscussa della sua validità: tale auto-giustificazione permette di assegnare alla tecnica un fine in sé, senza una reale discussione mediatica e politica. Come se la scienza e la tecnologia avessero un potere “taumaturgico”, in grado di fare a meno di deviazioni narrative od ostacoli politici, percepiti come inutili perdite di tempo.

Il doppio vincolo mitologico: promessa o catastrofe
La tecnologia si insedia così nel duplice regime, epistemologico e narrativo, di profezia autoavverantesi, issata sul paradigma dell'innovazione e sulla visione disincantata di un futuro retto dalla minaccia permanente di un potenziale distruttivo illimitato e catastrofico. La coesistenza di questi registri, del tutto antagonisti, sembra derivare da una sorta di dissociazione mentale e sociale. Da un lato, il potenziale della tecnologia sembra aprire orizzonti sconfinati di crescita e sviluppo che potrebbero essere conquistati; dall'altro lato, questo stesso potenziale alimenta una profonda ansia di vedere l'emergere di un mondo insopportabile, soggetto ad un rischio sempre maggiore di distruzione “totale”. Queste visioni opposte, che corrispondono l'una all'altra quasi parola per parola, stanno creando un divario politico, la cui radicalità diventa sempre più evidente ogni giorno che passa. Eppure si completano a vicenda nell’opposizione retorica, tanto più che entrambe procedono dalla reiterazione di schemi narrativi obsoleti. Per di più, i racconti mitici della catastrofe e dell’efficacia rappresentano un chiasmo, in quanto promettono una forma di “salvezza”, sia essa conquistata contro un esercito di zombie o, al contrario, con la complicità di robot che prefigurano possibili uomini “aumentati” o, quanto meno, li sostituiscono nella loro “disabilità” o ridotta capacità di azione. Questo scenario e queste promesse possono essere facilmente messi in discussione in quanto la nostra recente esperienza ha dimostrato che la catastrofe non assumerà la forma di un'apocalisse, nel suo senso etimologico. Non ci sarà uno svelamento improvviso in uno squillo di trombe circondato da crolli. Né ci sarà redenzione. Solo una lenta caduta nel silenzio e nel confinamento.

Un pluriverso di racconti mitici
Non è possibile abbandonare tale variazione sullo stesso tema per far emergere narrazioni plurali, alternative, che mettano al centro una forma di convivenza piuttosto che la ricerca di un'ipotetica salvezza - essenzialmente individuale e binaria? In altre parole, non dovremmo proporre una visione antropologicamente fondata sul riconoscimento reciproco della pluralità di culture, religioni e modi di produzione di significato? Se un tale sforzo presuppone che alla tecnologia in generale venga concessa la capacità di produrre una mitologia – di fatto - socialmente normativa, esso non va confuso con le strategie oggi all'opera nel mondo economico, che impongono forme tecniche di fisica sociale (Pentland). Ancor di più, il problema del rapporto tra mito (di origine o destino) e narrazioni plurali (della nostra convivenza) si pone in maniera sempre più acuta - se ne intendiamo la differenza come la distinzione tra i due distinti modi della produzione di significato e della sua enunciazione (J.-L. Nancy). Non si tratta quindi di trattare fenomeni fittizi come già avvenuti, per illustrare retroduttivamente, in maniera più o meno completa, idee o concetti ritenuti in origine più “puri”, quanto di rovesciare la prospettiva, per sottolineare il carattere istitutivo della narrazione (mitica) in atto. Questa postura è l'opposto di quella del Platonismo: non si tratta più di uscire da una caverna che sarebbe una trappola per la razionalità, ma di coglierla all'interno delle narrazioni stesse.

La caverna rovesciata e la comunità politica
Muovendo dalle linee riflessive innescate da Sloterdijk, la caverna non è forse un luogo da cui uscire, ma un luogo in cui entrare, ove fantasticare e discutere. La posta in gioco non è quindi più tanto quella di ottenere un giudizio, né di alimentare il sospetto sistematico che relega ogni forma di finzione in un'idea in sé depurata. Si tratta di essere in grado di perseguire un processo deliberativo politico e giuridico mediante il racconto finzionale e mitico. In questo senso rovesciato, la caverna è il luogo metaforico dove il diritto e la politica incontrano le scienze umane, il “senso comune” topico di Vico, che affonda le sue radici nel potere dell'immaginazione (fantasia). Un tale accostamento non promuove l'esclusività o l'inclusività. Si propone semplicemente di pensare in termini di “collettività”. L'ambizione è quella di rompere i vicoli ciechi politici e di sfuggire al bavaglio dell'immaginario che ci troviamo ad affrontare.

Il decentramento politico e giuridico di fronte all'antropotecnica
La crisi del diritto positivo e l'emergere di nuovi tipi di fonti (soft law, governance, best practice, norme tecniche, lex mercatoria, ecc.) portano a una lettura radicalmente nuova dell'opposizione tra il diritto statale e le forme consuetudinarie del diritto. Attraverso questo nuovo accostamento teorico, l'obiettivo è quello di affrontare le sfide della globalizzazione e di ripensare il rapporto tra diritto e tecnologia (robotica sociale e intelligenza artificiale, neuroscienze, impatto delle nanotecnologie, ecc.) L'idea che la legge introduca elementi di correzione etico-politica per limitare la potenziale pericolosità delle tecnologie nei settori dell'ambiente, del lavoro, dell'emancipazione umana e dei fallimenti del mercato sembra ancora ampiamente ispirata a una visione eurocentrica. Ciononostante, dal momento che essa si dispiega in un mondo decentrato, sembra difficilmente realizzabile. Si devono quindi prevedere nuove narrazioni per le antropotecniche, capaci di affrontare la diversità del mondo e la molteplicità dei modi in cui si stabiliscono il diritto e la politica.

Scopo di questo appello è quindi mettere in discussione le narrazioni dominanti nel campo della politica e della tecnica e di esplorare possibili narrazioni emergenti, in grado di mobilitare nuovi modelli.

Si possono prendere in conto ambiti diversi:
1. Racconto/Miti. Quali sono i racconti mitici della tecnologia? Dall'avvento della fantascienza, le narrazioni tecno-scientifiche hanno sviluppato un immaginario che oscilla tra proiezioni distopiche e visioni profetiche ed escatologiche che fanno dell’uomo aumentato o del robot umanizzato un elemento decisivo della storia (Asimov). La storia dell'uomo viene a volte modificata, anche completamente trasformata, fino a mettere in discussione il posto dell'uomo, sia che sia promesso al sovrano o assegnato alla “vergogna prometeica”, per usare l'espressione di Günther Anders.

2. Politica. Qual è la natura della deliberazione politica? È da considerarsi come l'effetto di un calcolo il cui risultato è tanto più valido quanto consente l'efficienza o come una costruzione sociale sostenuta da un racconto egemone? Nelle condizioni attuali, la politica è ancora in grado di produrre una narrazione diversa da quella della cibernetica e dell'automazione o da quella della ribellione, che sembra essere l'orizzonte inattaccabile della maggior parte delle distopie?

3. Antropotecniche. Allo stesso tempo, quali sono gli usi pratici delle antropotecniche, che possono essere interpretate come le nuove modalità di regolamentazione sociale? È possibile sviluppare una classificazione delle antropotecniche e un’analisi della loro istituzionalizzazione? Come esse sono in grado di mobilitare a un tempo gli ambiti politici e l’immaginario? In che misura essi sono in grado di proiettare, attraverso la loro istituzionalizzazione, nuovi modi di vivere in società, di organizzare e di abitare il mondo?

4. Diritto. Quali forme di controllo, politiche o giuridiche, o anche scientifiche, le antropotecniche producono? A partire da quali fonti e fondamenti si può identificare questo controllo, in un contesto globalizzato e globalizzato? Come possono essere elaborate le nuove narrazioni mitologiche che mobilitano l'uso delle antropotecniche, dopo il crollo delle grandi narrazioni che hanno ispirato il diritto postmoderno?

 

La technique comme narration : entre récit, droit et politique

Appel à contribution pour le prochain numéro de la revue Études Digitales publication courant 2021

Calendrier

- Envoi des propositions sous la forme d'un résumé de 5000 signes avant le 7 décembre 2020 à etudesdigitales@gmail.com, tcrs@mimesisedizioni.it, paolo.heritier@uniupo.it.
- L'avis du comité éditorial sera rendu le 22 décembre.
- Envoi des textes complets au plus tard le 15 mars 2021 pour une évaluation en double aveugle.
- Publication courant 2021
Les articles seront publiés dans deux revues en français et en italien : Études Digitales et Teoria e critica della regolazione sociale (éditions Mimesis). Études Digitales assurera la traduction des articles en italien.

La représentation narrative du monde technologique est, au premier abord, relativement pauvre, bien que les productions littéraires, cinématographiques ou télévisuelles soient en cette matière particulièrement nombreuses. En effet, l’essentiel de ce champ fictionnel est occupé, depuis une vingtaine d’années, par des histoires apocalyptiques ou post-apocalyptiques plus ou moins stéréotypées.

Utopie / Dystopie
Un grand nombre de dystopies racontent ainsi la vie de sociétés enfermées derrière les limites étroites d’un monde résiduel réputé “encore vivable” alors que l’extérieur sourd de menaces. Cette nouvelle forme d’insularité, contrairement aux utopies anciennes, n’est pas l’embryon d’un monde prometteur, ni le laboratoire d’une expérience politique, ni, enfin, le lieu d’une science unifiée et conciliatrice. Les dystopies dont cette insularité contemporaine procède ne font que présenter l’impossibilité de toute politique - l'exclusivité étant donnée à un traitement économique d’un réel déceptif, autrement dit à une pure et simple gestion de crise permanente. Ainsi, non seulement ces matrices narratives ne proposent aucune alternative, mais elles ne dénoncent jamais complètement un état de fait qui semble indépassable.
A l’opposé du spectre, se déploie une narration “logico-scientifique” pour laquelle l’efficacité de la technique est une preuve de la validité de cette dernière : cette autojustification permet de donner la technique pour une fin en soi la laissant par conséquent ininterrogée. Tout se passe comme si la science et la technologie disposaient d’un pouvoir “thaumaturge” et étaient donc susceptibles de s’exonérer de détours narratifs perçus comme d’inutiles pertes de temps.

La double contrainte mytho-logique : promesse ou catastrophe
La technologie s’inscrit ainsi sous le double régime d’une promesse auto-réalisatrice contenue dans le paradigme même de l’innovation et d’un futur absolument désenchanté, placé sous la menace permanente d’un potentiel de destruction illimité. La coexistence de ces registres entièrement antagonistes semble procéder d’une sorte de dissociation mentale et sociale. D’un côté, le potentiel des technologies semble ouvrir des horizons sans limites de croissance et de développement qu’il suffirait de conquérir ; de l’autre, ce même potentiel alimente une angoisse profonde de voir émerger un monde invivable soumis à un risque de destruction toujours plus “total”. Ces postures contraires, qui se répondent l’une à l’autre quasiment mot pour mot, dessinent une fracture politique dont on mesure chaque jour un peu plus la radicalité. Pour autant, elles se complètent dans leur opposition même d’autant plus qu’elles procèdent l’une comme l’autre de la réitération de patterns narratifs éculés. Au-delà, les récits de la catastrophe comme ceux de l’efficacité forment un chiasme en ce qu’ils promettent une forme de “salut”, fût-il conquis contre une armée de zombies ou, au contraire, avec la complicité de robots qui préfigurent d’éventuels hommes “augmentés” ou, pour le moins, les suppléent dans leurs handicaps. On peut d’autant plus facilement remettre en question ces motifs et ces promesses que notre expérience récente a démontré que la catastrophe ne se vivra pas sous la forme d’une apocalypse entendue en son sens étymologique. Il n’y aura pas de brusque dévoilement dans un fracas de trompettes et d’écroulements. Pas non plus de rédemption. Seulement une chute lente dans le silence et le confinement.

Un plurivers de récits
N’est-il pas possible de sortir de cette variation sur un même thème pour faire émerger des récits pluriels, alternatifs, qui placeraient en leur cœur une forme de coexistence plutôt que la recherche d’un hypothétique salut - par essence individuel et binaire ? Autrement dit, ne faudrait-il pas proposer une vision anthropologiquement fondée sur la reconnaissance mutuelle de la pluralité des cultures, des religions et des modes de production de sens ? Si un tel effort suppose que l’on accorde à la technologie en général la capacité à produire une mythologie - de fait - socialement normative, il n’est pas à confondre avec les stratégies aujourd’hui à l’œuvre dans le monde économique et qui imposent des formes techniques de la physique sociale (Pentland). Plus fondamentalement, se pose ainsi de manière de plus en plus aiguë la question de la relation entre le mythe (de l’origine ou de la destinée) et les récits pluriels (de nos coexistences) - si l’on comprend leur différence comme la distinction entre deux modes distincts de production du sens et de son énonciation (J.-L. Nancy). Il ne s’agit donc pas de traiter les phénomènes fictionnels, pour illustrer après-coup, de manière plus ou moins aboutie, une idée ou un concept tenus pour originellement plus “purs” mais bien de renverser la perspective pour souligner le caractère instituant du récit. Cette posture est à l’opposé de celle du platonisme : il ne s’agit plus de s’extraire d’une caverne qui serait un piège pour la rationalité, mais de se saisir de cette dernière depuis l’intérieur même des récits.

La caverne inversée et la communauté politique
Conformément aux pistes de réflexion ouvertes par Sloterdijk, la caverne n’est pas un lieu d’où l’on sort mais bien un lieu où l’on rentre, où l’on fantasme et où l’on débat. L’enjeu n’est donc plus tant d’obtenir un jugement ni d’alimenter la suspicion systématique qui relègue toute forme de fiction au nom d’une idée en soi plus épurée. Il s’agit, par le truchement du récit, de pouvoir mener une délibération d’ordre juridique et politique. En ce sens inversé, la caverne est le lieu métaphorique où le droit et la politique retrouvent les sciences humaines, le “sens commun” de Vico qui s’ancre dans la puissance de l’imagination (fantasia). Une telle démarche ne consiste pas à promouvoir l’exclusivité ou l’inclusivité. Elle propose simplement de penser des “collectivités”. L’ambition est de sortir des impasses politiques et d’échapper au musellement de l’imaginaire auquel nous sommes confrontés.

Le décentrement politique et juridique face aux anthropotechniques
La crise du droit positif et l'émergence de nouveaux types de sources (soft law, gouvernance, meilleures pratiques, normes techniques, lex mercatoria, etc.) conduisent à relire l'opposition entre droit étatique et les formes coutumières d'élaboration du droit de manière radicalement nouvelle. Il s’agit, à travers cette nouvelle approche, de faire face aux enjeux de la mondialisation et de repenser les rapports entre droit et technologie (robotique sociale et intelligence artificielle, neurosciences, impact des nanotechnologies, etc.). La vision selon laquelle la loi introduit des éléments de correction éthico-politique pour limiter la dangerosité potentielle des technologies dans les domaines de l'environnement, du travail, de l'émancipation de l'homme et des défaillances du marché semble encore largement inspirée par l'approche européenne. Néanmoins, puisqu’elle se déploie dans un monde décentré, elle paraît difficilement viable. Il convient alors d’envisager de nouveaux récits des anthropotechniques, capables de prendre en charge la diversité du monde et la multiplicité des modes d’institution du droit et de la politique.

L’objet de cet appel est donc d’interroger les récits dominateurs dans le champ de la politique et de la technique et d’explorer d’éventuels récits émergents, qui mobiliseront de nouveaux patterns.

Plusieurs directions pourront être envisagées :
1. Récit/Mythes. Quels sont les récits de la technologie ? Depuis l’émergence de la science-fiction, les récits techno-scientifiques ont développé un imaginaire qui oscille entre des projections dystopiques et des visions prophétiques et eschatologiques faisant d’un homme augmenté ou d’un robot humanisé un élément décisif du récit (Asimov). L’histoire de l’homme s’en trouve parfois modifiée, voire tout à fait transformée, jusqu’à interroger la place de l’homme qu’il soit promis à la surpuissance ou assigné à la “honte prométhéenne” pour reprendre l’expression de Günther Anders. 

2. Le politique. Quelle est la nature de la délibération politique ? Doit-elle être considérée comme l’effet d’un calcul dont le résultat est d’autant plus valide qu’il permet l’efficacité ou comme une construction sociale tenue par un récit principiel ? Dans les conditions actuelles, la politique est-elle encore en mesure de produire un récit différent de celui de la cybernétique et de l’automatisation ou encore celui de la rébellion qui semble l’horizon indépassable de la plupart des dystopies?

3. Anthropotechniques. Dans le même temps, quels sont les usages pratiques des anthropotechniques que l'on peut interpréter comme étant les nouvelles modalités de régulation sociale ? Est-il possible d'élaborer une classification des anthropotechniques et une analyse de leur institutionnalisation ? Comment transforment-elles à la fois les champs politiques et leurs imaginaires ? Dans quelle mesure sont-elles capables de projeter, à travers leur institutionnalisation, de nouvelles manières de vivre en société, d’organiser et d'habiter le monde ?

4. Droit. Quelles formes de contrôle, politique ou juridique, voire scientifique, les anthropotechniques produisent-elles ? À partir de quelles sources et de quels fondements, ce contrôle peut-il être identifié dans un contexte mondialisé et décentré ? Comment élaborer les nouveaux récits qui mobilisent l’usage des anthropotechniques après l'effondrement des grands récits qui ont inspiré le droit postmoderne ?