Abstract
L'articolo presenta un esame delle proposte teoriche sul tema della temporalità avanzate dall'antropologo Ernesto De Martino. In una progressione dal livello individuale a quello collettivo fino a quello storico, in cui le mediazioni rimangono ancora problematiche, De Martino elabora una concezione attiva e plastica della temporalizzazione. Il tempo, inteso come forma a priori di sensibilità, può essere frantumato e quindi interrotto. La realtà stessa è soggetta a cambiamenti che la fanno apparire meno come un termine naturale che come un termine culturale. Da parte sua, l'istituzione rituale ricostruisce la forma frantumata e permette all'uomo di far passare il tempo al di là dell'evento traumatico che lo ha interrotto. Il mio obiettivo è mostrare la fecondità dell'ibridazione concettuale di De Martino, in un confronto serrato tra il materiale etnografico e alcuni luoghi classici della filosofia, come il trascendentale e la fenomenologia di Kant.