Abstract
Se classifichiamo le teorie etiche in “immanentiste” (quelle che individuano ciò che è eticamente accettabile in qualche tipo di evento del mondo, come la crescita in senso utilitaristico dei benefici generali) e “trascendentaliste” (quelle che posizionano in qualche spazio al di là di questo mondo la ragione per cui ci si dovrebbe comportare in modo etico - per esempio, a causa di qualche tipo di ricompensa ultraterrena -), allora la filosofia morale del cosiddetto “primo” Wittgenstein occuperebbe un posto speciale tra i due estremi di tale dicotomia. In una certa misura, si potrebbe dire che la proposta etica di Wittgenstein durante gli anni di composizione del Tractatus Logico-philosophicus mantiene un delicato equilibrio che evita sia la sua esclusiva sottomissione alle istanze trascendentali (fondamenti), sia la sua totale assimilazione da parte delle motivazioni immanenti (benefici) nel giustificare il fatto di agire in modo corretto. In questo articolo esamineremo tale piroetta wittgensteiniana tra le due componenti del dualismo trascendente-immanente, e suggeriremo che il luogo peculiare in cui lascia l'etica, tra il celeste e il terreno, potrebbe non essere del tutto estraneo ad alcune tesi della religione cristiana.