Call for Papers

E|C n. 46, 2026

Food branding. Tendenze e resistenze del gusto
a cura di Dario Mangano, Davide Puca e Ilaria ventura Bordenca (Università di Palermo)

Nell’epoca dei superfood e delle filiere “trasparenti”, dei marchi territoriali e delle etichette sostenibili, il cibo – insieme ai suoi circuiti di produzione, commercio e consumo – si dimostra ancora uno dei principali luoghi contemporanei di produzione del senso. Intorno alle pratiche alimentari si organizzano narrazioni identitarie e commerciali, conflitti etici, estetiche del consumo e nuove forme di cittadinanza. Da tempo l’antropologia, la storia dell’alimentazione e la semiotica hanno mostrato che mangiare non significa soltanto nutrirsi, né tanto meno solo vivere un’esperienza gustativa a tavola: significa prendere posizione in un mondo di valori, decidere un modo di abitare la terra, il corpo, la collettività.
In questo quadro, la marca alimentare non è più soltanto un segno di riconoscimento commerciale, o garanzia di qualità del cibo, ma è un’istanza discorsiva codificata in generi comunicativi più o meno noti che dà forma e durata al vissuto del cibo. La marca interpreta le tensioni che attraversano la cultura alimentare –locale e globale, fast e slow, artigianale e industriale, naturale e tecnologico, solo per citarne alcune – e le traduce in strategie di significazione, sotto forma di testi, immagini, ambienti e pratiche che istituiscono modi di esistenza alimentari e definiscono poste in gioco sociali: che cosa è mangiabile, desiderabile, autentico, sano, etico, tipico, “italiano”, e così via.
Negli ultimi decenni, la semiotica dell’alimentazione ha costruito un campo di studi ampio e stratificato, in cui il cibo appare come un oggetto eminentemente discorsivo, un sistema di pratiche, testi e mediazioni che produce significati, valori sociali e forme di vita. Questa riflessione ha mostrato come la cultura alimentare si costituisca nell’interazione fra linguaggi diversi che trovano nel branding un punto di snodo privilegiato – dai media tradizionali ai social network, dagli spazi della ristorazione ai dispositivi di packaging.
All’interno di questo quadro, le identità visive dell’agroalimentare rappresentano un osservatorio decisivo: emblemi che condensano valori culturali e modelli di appartenenza, trasformando la marca in un dispositivo di coerenza narrativa (Marrone). Nel campo della pubblicità alimentare, gli studi semiotici hanno mostrato come la comunicazione commerciale funzioni come un laboratorio di articolazione dei valori culturali del cibo (Mangano). Le campagne non si limitano a presentare prodotti: costruiscono modelli di vita quotidiana, organizzano assiologie – semplicità/ricchezza, cura/efficienza, intimità/convenienza – e traducono pratiche elementari come cucinare o servire in micro-ritualità dotate di senso. La pubblicità alimentare diventa così un linguaggio con cui la marca orienta percezioni, aspettative e comportamenti, inscrivendo il cibo entro narrazioni e mitologie condivise.
Su questa scia, gli studi sugli spazi e i format di consumo hanno mostrato come la ristorazione – dal bistrot metropolitano al ristorante d’autore – funzioni come dispositivo semiotico complesso (Giannitrapani), articolando valori, posture e ritualità dell’esperienza gastronomica. Con l’espansione del digitale, l’attenzione si è estesa alle narrazioni alimentari online, dove blog, social network e piattaforme generano pratiche specifiche di visibilità della marca, tra raccomandazione, reputazione ed endorsement (Mangiapane). Qui il cibo diventa oggetto di negoziazione pubblica: gli utenti assumono funzioni autoriali e curatoriali, e la costruzione del valore alimentare si distribuirà tra strategie di marca ed enunciazioni diffuse.
Un ulteriore campo di indagine ha toccato la tipicità e le sue forme di branding e certificazione. Dalle indicazioni geografiche ai marchi collettivi, dalle narrazioni dell’origine alle pratiche di patrimonializzazione, lo spazio agroalimentare diventa un catalizzatore di autenticità e legittimazione culturale (Puca). In questo orizzonte, il food branding non si limita a raccontare i territori, ma – con fare politico – ne ridefinisce le modalità di esistenza in funzione del cibo.
Infine, il food packaging e il branding salutistico rappresentano un’area di studio ormai consolidata ma ancora meritevole di attenzione per la quantità di nuove tendenze alimentari che emergono periodicamente, rimettendo in gioco valori e forme di vita. Il pack, in quanto interfaccia tattile e visiva del prodotto, struttura con fare strategico la relazione con l’utente e mette in forma valori come naturalità, sicurezza, funzionalità (Ventura Bordenca). Un meccanismo che è tanto più evidente se analizzato in relazione agli spazi della distribuzione moderna, veri e propri teatri della marca. Le ricerche sulla dietetica hanno mostrato, inoltre, come le stesse diete possano ergersi a brand capaci di mediare tra corporeità, sapere scientifico, moralità alimentare e benessere.
In questo insieme di prospettive, la semiotica del food branding non coincide con un’applicazione della semiotica al marketing, ma emerge come un campo teorico e analitico autonomo: un luogo in cui pratiche, immaginari e dispositivi culturali si incontrano per costruire senso, valore e riconoscibilità sociale, tutti da decodificare e comprendere per lo sguardo dell’analista. Con questo numero, E/C accoglie contributi che approfondiscano criticamente l’evoluzione di tali dinamiche, esplorando il ruolo della marca nella configurazione delle culture alimentari del presente.

Alcune possibili linee di ricerca:

  1. Regimi di valore e nuove tendenze del food branding.
    Il branding alimentare organizza e ridefinisce i valori del consumo: dalla naturalità al benessere, dall’inclusione alla sostenibilità. Le nuove strategie dei brand alimentari traducono tensioni sociali e culturali – salute, accessibilità, etica ambientale, piacere sensoriale – in sistemi coerenti di promesse, esperienze e linguaggi visivi (Stano 2015).
  2. Strategie discorsive, coerenze e mutamenti della marca.
    Seguendo l’idea della marca come istanza discorsiva che media fra economia e simbolico (Marrone 2007), si invitano studi sulle coerenze e dissonanze tra i testi di marca – loghi, packaging, retail, web e social – e sulla loro evoluzione nel tempo. L’analisi diacronica consente di ricostruire genealogie del discorso di marca, individuando trasformazioni, rotture, continuità e posture nostalgiche nei regimi di senso e di valore (cfr. Mangano 2014).
  3. Esperienze, luoghi e pratiche di consumo.
    Dai ristoranti ai musei aziendali, dai supermercati ai paesaggi del turismo gastronomico, la marca costruisce spazi di esperienza e modelli di presenza. Nella prospettiva di una semiotica della relazione (Landowski 1989), i brandscape alimentari possono essere letti come scene d’interazione e di performatività sensoriale, in cui gli attanti si definiscono attraverso pratiche condivise di degustazione, esposizione e acquisto.
  4. Territori, comunità e mitologie della tipicità.
    Dalle prime mitologie del “made in Italy” al cultural branding contemporaneo, il cibo continua a rappresentare un catalizzatore privilegiato di narrazioni identitarie e sovranismi alimentari. Le indicazioni geografiche e i marchi collettivi (DOP, IGP, consorzi territoriali) ridefiniscono lo spazio e l’autenticità, intrecciando politiche del cibo, patrimonializzazione, branding territoriale e nuove forme di turismo esperienziale (Mangiapane, Puca 2022). La tipicità diventa così una mitologia del presente, dove il branding svolge un ruolo primario nel costruire l’autoctonia di alimenti e comunità.
  5. Il discorso della sostenibilità, un campo in movimento.
    Dalle prime retoriche del biologico alle estetiche contemporanee della responsabilità, il branding sostenibile si configura come un osservatorio privilegiato sui valori del cibo. Materiali, colori e narrazioni traducono visioni politiche ed ecologiche, producendo nuovi regimi di fiducia e di veridizione (Marrone 2016). Oggi, rigenerazione e transizione ecologica ridefiniscono ancora una volta il branding alimentare, e la sostenibilità rappresenta un campo privilegiato per l’osservazione di tendenze più ampie.
  6. Linguaggi e format della comunicazione alimentare.
    Dallo spot televisivo al digital marketing, il discorso del cibo ha attraversato una profonda trasformazione dei propri linguaggi e format enunciativi. L’emergere di food influencer, content creator, piattaforme immersive e uso di intelligenza artificiale impone di ripensare le forme del racconto di marca, i nuovi regimi di visibilità e le estetiche della partecipazione.
     

Riferimenti bibliografici

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Mangiapane, F., Puca, D., 2022, “The intimate relationship between food and place branding: a cultural semiotic approach”, in George Rossolatos (a cura di), Advances in Brand Semiotics & Discourse Analysis, Malaga, Vernon Press, pp. 179-202.
Marrone, G., 2007, Il discorso di marca. Modelli semiotici per il branding, Roma–Bari, Laterza.
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Peverini, P., 2024, “Il brand come entità semiotica: tra politica, cultura, tecnologia”, in Riccardo Finocchi, Paolo Peverini, Franciscu Sedda e Bianca Terracciano (a cura di), Miti galeotti. A intelligenza del resto, pp. 275-279.
Semprini, A. (a cura di), 2003, Lo sguardo sociosemiotico. Comunicazione, marche, media, pubblicità, Milano, FrancoAngeli.
Stano, S., 2015, “Semiotics of food”, in International Handbook of Semiotics, Dordrecht, Springer Netherlands, pp. 647-671.
Ventura Bordenca, I., 2022, Food Packaging. Narrazioni semiotiche e branding alimentare, Milano, FrancoAngeli.

Scadenza per l’invio degli abstract (max 2000 caratteri): 15 gennaio 2026
Accettazione abstract: 20 gennaio 2026
Scadenza per l’invio dei testi definitivi: 20 marzo 2026
Pubblicazione: giugno 2026

I testi devono avere una lunghezza massima di 40000 caratteri ed essere accompagnati da un abstract in inglese di massimo 1000 caratteri.

Inviare le proposte a:
redazione.ec.aiss@gmail.com
dario.mangano@unipa.it
davide.puca@unipa.it
ilaria.venturabordenca@unipa.it

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