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Call for Papers
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E|C n. 43, 2025
Strani cibi
a cura di Mohamed Bernoussi (Università Moulay Ismail, Meknès)
Ci sono cibi consentiti e cibi vietati. Attraverso entrambe, ciascuna cultura stabilisce un'identità culinaria (Douglas 1966) che la definisce come un'entità irriducibile. Ma ci sono anche cibi intermedi: non sono né autorizzati né proibiti, oppure vietati per alcuni e autorizzati per altri, emarginati o tollerati per una minoranza a determinate condizioni. È il caso del vino nelle società musulmane, ma anche delle paste di hashish (al-majoune o al-m'aassel), della cannabis autorizzata dallo Stato a determinate condizioni nelle società occidentali, dei filtri d’amore nelle loro varie forme o delle ricette della medicina tradizionale per alleviare i dolori fisici non alleviati dalla medicina tradizionale.
Questa cucina, allo stesso tempo tollerata, segreta e talvolta anche sinistra, interessava dapprima la medicina, la farmacologia, la demonologia e l'esoterismo (Muchembled 1979); non se n’è mai interessata la semiotica, se non raramente o episodicamente (Eco 1990; Stengel 2024) e tuttavia può sollevare numerosi interrogativi relativi alla sua semiosi, al suo statuto narrativo, ai tipi di relazioni che si stabiliscono tra il suo piano espressivo e il suo piano di contenuto; ad esempio, ricette afrodisiache (Bernoussi 2024) o ricette di medicina tradizionale (Eco 1990).
Solleva anche questioni relative ai divieti culinari e all’esercizio del potere. È il caso, ad esempio, del paradosso del vino nelle società marocchine e arabo-musulmane in generale, che cristallizza una tensione permanente tra autorizzare e vietare, tra sorvegliare e non punire o farlo estemporaneamente per opportunismo o pragmatismo al fine di ricordare che, anche quando agisce all'interno di precisi quadri giuridici, il potere ha le sue ragioni che la ragione non conosce. È il regime del tollerare, che permette di esercitare il potere vero, quello che si fonda sul discorso della colpevolezza (Foucault 1975). Vietare e al tempo stesso tollerare favorisce la clandestinità e consente l'esercizio del potere, la cui risorsa principale è in questo caso la cattiva coscienza.
D’altro canto, la convivialità clandestina attorno a un piatto o a una bevanda ambigui solleva interrogativi relativi alla natura dell’occasione conviviale e di coloro che vi partecipano, le nchaywiya attorno a una tavola di kif o majoune, o acquavite adulterata (mahya).
Ma ci sono contesti in cui a questi cibi dei margini vengono preparati e consumati in solitudine. Sono destinati a un ospite a sua insaputa, attraverso menzogne e dissimulazioni. È il caso delle pozioni d'amore o d'odio che utilizzano come veicolo ufficiale pietanze autorizzate e di cui si inverte il significato. In questo senso assomigliano agli afrodisiaci, ma senza intenzionalità dichiarata poiché spesso sono eseguiti nel più assoluto segreto. Nel caso della vendetta, la pozione è rivolta a qualcuno che è passato dall’essere amico o amante a nemico, e dunque oggetto di un deciso capovolgimento narrativo in base a orizzonti di attesa insoddisfatti o brutali inversioni del programma narrativo atteso (Marrone 2011, 2016).
Questi alimenti sollevano molteplici interrogativi. Possiamo considerare come esempio i seguenti ambiti:
- Problemi semiotici sollevati dai cibi dei margini;
- Pozioni d'odio o d'amore, narrazione e costruzione del soggetto nemico;
- Alimenti di vendetta e rappresentazioni del nemico;
- Ricette afrodisiache tra rappresentazioni di genere e potere;
- Vino, cibi allucinogeni e hashish.
Riferimenti bibliografici
BenKheira, H., 2000, Islam et interdits alimentaires. Juguler l’animalité, Paris, PUF.
Bernoussi, M., 2016, “Sémiosis du corps dans la littérature sexologique arabe”, in Semiotica 129, Berlin-Boston, de Gruyter.
Bernoussi, M., 2020, “Le paradoxe du vin dans le récit de voyage”, in Vin et altérité, Presses Universitaires de Reims.
Bernoussi, M., 2023, “Sémiotique des recettes aphrodisiaques”, in A la Recherche de l’orgasme gastronomique, K. Stengel (ed.), Paris, l’Harmattan.
Eco, U., 1990, I limiti dell’interpretazione, Milano, Bompiani.
Foucault, M., 1975, Surveiller et punir, Paris, Gallimard.
Douglas, M., 1966, Purity and Danger, an analysis of the concepts of pollution and taboo, Routeldge and Kegan Paul, London.
Marrone, G., 2011, Introduzione alla semiotica del testo, Roma-Bari, Laterza.
Marrone, G., 2016, Semiotica del Gusto, Milano, Mimesis.
Muchembled, R., 1979, La sorcière au village, Paris, Gallimard.
Stengel, K. (ed.), 2024, A la Recherche de l’orgasme gastronomique, Paris, L’Harmattan (forthcoming).
Scadenza per l’invio degli abstract (max 2000 caratteri): 5 ottobre 2024
Accettazione abstract: 15 ottobre 2024
Scadenza per l’invio dei testi definitivi: 10 dicembre 2024
Pubblicazione: marzo 2025
I testi devono avere una lunghezza massima di 40000 caratteri ed essere accompagnati da un abstract in inglese di massimo 1000 caratteri.
Inviare le proposte a:
redazione.ec.aiss@gmail.com
barnoussim@ymail.com
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CFP - E|C n. 42, 2024
Kafka. Politiche del tradurre
a cura di Isabella Pezzini (Sapienza Università, Roma) e Paolo Sorrentino (Università IULM, Milano)
“Come entrare in un’opera come quella di Kafka? Un’opera che è un rizoma, una tana?”
Con queste parole si apre uno dei maggiori contributi di Deleuze e Guattari alla critica del linguaggio e alla cura del senso.
A cent’anni dalla scomparsa dell’autore boemo, la sua opera non smette di provocare interrogativi, intercessioni, adattamenti. Traduzioni. Per la semiotica la ricorrenza è allora propizia per un doppio movimento. Da una parte, rivolgere il suo sguardo alle “passioni di Kafka”, nelle quali riconosce oggetti consueti: incubi, mostri, ironia, angoscia, follia, desiderio, paura, metamorfosi, burocrazia. Potere. Dall’altra, affinare i suoi strumenti, affrontando problemi eminentemente semiotici: lingua, traduzione, cultura, testualità, enunciazione, passione, attorialità, spazialità, temporalità.
L’operazione consiste nel far vibrare le posizioni, osservarle con sguardo strabico. Il nostro convincimento è che sia la teoria della traduzione a propiziare l’analisi e viceversa. Lontana dal situarsi su un polo di negatività – anche se non mancano equivoci più o meno prevedibili, come quelli evidenziati da Kundera sulla lingua mutilata dell’humor –, pensiamo la traduzione come un processo di correlazione capace di (ri)assemblare i concatenamenti che legano azione e passione.
Da qui una serie di politiche della traduzione. Come un ragno, il soggetto dell’enunciazione traduce il mondo nella sua fitta rete di rapporti mentre vi situa sé stesso; ma ciò non lo libera dall’essere a sua volta preso, tradotto e situato dalle trame del mondo che gli sopravvivono.
Rispetto al primo versante, si pensi ai rapporti dialogici fra lingua e linguaggio, di cui è intessuta la scrittura di Kafka. Come ricordano i due amici di Letteratura minore, egli vive nella condizione di “essere nella propria lingua come uno straniero”. Da qui il desiderio di invertire il senso del sogno, di “Fare un sogno al contrario”. Fare della cultura minore un uso maggiore (Fabbri). Sotto questo profilo sono interessanti le forme di localizzazione della lingua, il (ri)assemblaggio delle configurazioni del mondo, il riassetto dei rapporti di forza.
Ancora, si pensi alle modalità in cui i diversi linguaggi adoperati da Kafka – un patrimonio inesauribile di lettere, racconti, romanzi, ma anche diari, sogni, parabole, e pure schizzi, disegni, illustrazioni –, possano entrare o meno in rapporti di correlazione, aprendo un campo di possibilità: essere analizzati come una rete di formazioni testuali relativamente autonome o offrirsi come funzioni di una formazione globale, fino a riconoscere nella vita dell’artista l’ordito delle sue traduzioni, e far baluginare il contorno di una personalità semiotica (Lotman).
Per il secondo versante, pensiamo ai rapporti di traduzione fra i diversi discorsi sociali. Da quello filosofico a quello artistico, fino a quello religioso e politico. Dal fumetto – si pensi al recente Gli incubi di Kafka di Peter Kuper – al cinema, da After Hours di Martin Scorsese a Intervista di Federico Fellini. Per non parlare delle incalcolabili ascendenze nel discorso letterario dove segna un canone a sé, per divenire (suo malgrado) protagonista di una tradizione europea che spariglia le carte, a cui Kundera assegna il nome di kafkologia. E, infine, ma non meno importante, al rapporto con il mondo quotidiano, nel quale è penetrato fino a divenire un aggettivo, riuscendo a metterne in luce tensioni e contraddizioni, forse l’(im)prevedibilità dei rapporti fra arte e vita.
Invitiamo allora studiose e studiosi a collaborare al numero 42 di E|C, con dei contributi analitici e teorici intorno a cinque rapporti fondamentali:
- La traduzione fra lingua e linguaggio. Il linguaggio come luogo di identificazione, terreno strategico di conflitto e negoziazione, fattore di standardizzazione e minorizzazione.
- I rapporti fra testo e discorso. Pensiamo alle tensioni fra i generi sperimentati da Kafka: se da un lato rendono difficile il suo incasellamento generale – dal realismo al simbolismo, dal grottesco al religioso, dalla parabola al sogno –, dall’altro riflettono una personalità semiotica. All’interno di questo groviglio la scrittura traduce (e altera) gli stati di attori, spazi e tempi. In tal senso in Kafka si trovano tanti mostri, deformi, anormali, quanti letti avvolgenti e corridoi infiniti, quanto forme del tempo paradossali. È perciò interessante l’esplorazione del livello passionale e sensoriale: attraversano l’opera di Kafka stati d’animo allucinati, angosce, inquietudini, tremori.
- La traduzione fra critica e filosofia. Senza voler ripetere la presenza di Kafka nel discorso filosofico, vogliamo semmai portare l’attenzione sul carattere meta-semiotico della sua opera.
- La traduzione fra le muse dell’arte. I rapporti con il fumetto, le illustrazioni, il cinema. Si pensi alla (ri)scoperta del patrimonio di schizzi, disegni, figure che, entrando in correlazione traduttiva con l’opera letteraria, rivelano l’occasione di un accesso inedito.
- I rapporti fra arte e vita. Il rapporto fra Kafka e il quotidiano è di compenetrazione reciproca. La sua scrittura scandaglia e interviene – non solo figurativamente, ma plasticamente – sulle formazioni semiotiche che filano il tessuto quotidiano, individuando punti di frattura e scappatoie. Kafka penetra la dimensione sensibile della cultura per rivelare come ogni suo senso di determinatezza si sveli presto in un motivo di illusione. Una trappola, con innumerevoli linee di fuga e false vie d’uscita. D’altra parte, Kafka batte la strada dell’enunciazione enunciata, traducendo i concatenamenti del vissuto, per provocare aperture, riflessioni, trasformazioni.
Bibliografia
Benjamin, W., 1962, Angelus Novus. Saggi e frammenti, a cura di R. Solmi, Torino, Einaudi.
Deleuze, G., Guattari, F., 1975, Kafka, pour une littérature mineure, Paris, Minuit.
Fabbri, P., 2000, “Dialogo sulle letterature minori”, in AA.VV., I maestri. Voci e parole del Novecento verso il terzo millennio, Parma, Contatto.
Greimas, A. J., 1976, Maupassant. La sémiotique du texte: exercices pratiques, Paris, Seuil.
Kafka, F., 2023, Tutti i romanzi, tutti i racconti e i testi pubblicati in vita, trad. it. e cura di M. Nervi, Milano, Bompiani.
Kundera, M., 1994, I testamenti traditi, Milano, Adelphi.
Lotman, J.M., 1992, Kul’tura i Vzryv, Moskva, Gnosis, trad. it. La cultura e l’esplosione, Milano, Mimesis, 2022.
Marrone, G., 2017, “Bestialità. Culture animali”, in G. Marrone, Zoosemiotica 2.0. Forme e politiche dell’animalità, Palermo, Edizioni Museo Pasqualino.
Marrone, G., 2024, Nel semiocene. Enciclopedia incompleta delle vite terrestri, Roma, Luiss University Press.
Pezzini, I., 2018, “From a cockroach’s point of view: The Metamorphosis of Perception in Kafka”, in International Journal for the Semiotic of Law, 31.
Rella, F., 2005, Scritture estreme. Proust e Kafka, Milano, Feltrinelli.
Sebald, W.G., 2003, Vertigini, Milano, Adelphi.
Sedda, F., 2018, “Traduzioni invisibili. Concatenamenti, correlazioni e ontologie semiotiche”, in Versus. Quaderni di Studi Semiotici, 126.
Trotta, F., 2021, Presenze Kafkiane nell’opera di WG Sebald, Milano, Aletti.
Scadenza per l’invio degli abstract (max 2000 caratteri): 15 luglio 2024
Accettazione abstract: 25 luglio 2024
Scadenza per l’invio dei testi definitivi: 30 agosto 2024
Pubblicazione: dicembre 2024
I testi devono avere una lunghezza massima di 40000 caratteri ed essere accompagnati da un abstract in inglese di massimo 1000 caratteri.
Inviare le proposte a:
redazione.ec.aiss@gmail.com
Isabella.Pezzini@uniroma1.it
Paolo.Sorrentino@iulm.it
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CFP - E|C n. 41, 2024
Insieme. Ritmi dei collettivi e pratiche della convivenza
a cura di Giuditta Bassano (LUMSA, Roma), Michele Dentico (Università per stranieri, Perugia; Sapienza Università di Roma), Bianca Terracciano (Sapienza Università di Roma)
Se fin dalle sue origini la semiotica si è occupata dello studio dei segni nell’ambito della vita sociale (Saussure), le questioni della convivenza all’interno dei collettivi, delle regole che normano e sorreggono le relazioni tra gli attori in gioco, i modi in cui si formano e disfano gruppi e comunità risultano di particolare rilevanza per il dibattito in seno alla disciplina.
I collettivi, oggi come ieri, vivono continue trasformazioni, allargandosi e restringendosi, estendendosi a dismisura, dissolvendosi con tempi e ritmi propri, cosicché da ridefinire continuamente i criteri della loro identità e, al contempo, quelli della loro eventuale disgregazione. Tecnologie, uso dell’intelligenza artificiale, crisi climatiche, fratture politiche, nuove e vecchie guerre alle frontiere dell’Europa, istanze di genere, religiose, dietetiche, rendono periodicamente urgente il bisogno di trovare nuove regole, ricollocare gli attori, usare differenti unità di misura per prendere le distanze dagli altri e trovare un posto per sé.
È il tema latouriano dei collettivi e dei mondi ibridi, che dalla semiotica è andato verso l’antropologia e la sociologia delle scienze per poi fare ritorno e essere ridiscusso. Barthes lo declina nell’analisi della giusta distanza sociale: l’idioritmia come forma propria, intermedia tra individualismo e distanza dal mondo, integrazione e fusione con gli altri.
Si tratta di questioni di natura profondamente semiotica che riguardano, ad esempio, l’ambito delle forme di vita, le quali, intese come deviazioni dalla razionalità narrativa e strategica, installano modi alternativi di stare al mondo, oppure, alla stessa maniera, diventano standard e descrivono esseri semiotici di tipo collettivo e trasversale (Greimas).
L’osservazione delle forme del vivere insieme, in molti campi dell’esistenza umana, è un perfetto terreno di analisi per la semiotica volto a indagare le forme di costruzione dello stare in comunità. Pertanto, si possono articolare ricerche su come si erigono confini, sotto forma di soglie e limiti, in nome di quali valori, come si distribuiscono i ruoli, in vista di quali obiettivi, sulla base di quali categorie semantiche (natura/cultura, maschile/femminile, proprio/altrui, umano/animale etc.). E in nome di quali dimensioni: cognitiva (gruppi di sapere, comunità di divulgazione, expertise, patti e credenze etc.), pragmatica (attanti collettivi, stili di azione, movimenti e orientamenti narrativi condivisi), passionale (tipi e ruoli patemici, passioni di un’epoca - anche intere culture come ricorda Lotman si possono fondare su passioni dominanti e condivise) e ovviamente corporea (contagi, mode, estetiche collettive, gusti e disgusti).
Questo numero di E|C dedicato al tema del vivere in comune ospita contributi che indagano, secondo l’approccio semiotico, le condizioni della convivenza intesa come effetto di senso: se la semiotica è la disciplina a vocazione scientifica che si pone l’obiettivo di mettere il senso in condizione di significare, l’indagine intorno alle forme del convivere riguarda i processi e i sistemi attraverso cui lo stare insieme si dà come spazio semiotico efficace. Uno spazio di relazioni, conflittuali e/o pacifiche, negoziate o imposte, comunque attive e partecipi del senso di collettività, e dunque di società.
Si tratta di lavorare in un’ottica anti-essenzialista, non ontologica e non riduzionista, che fonda la specificità della semiotica rispetto ad altre scienze umane. Il collettivo comprende chi innesca e porta cambiamento e senso sociale, qualsiasi sia la loro manifestazione figurativa: umani e non-umani, viventi e non, oggetti, animali, tecnologie, microbi, forze, che siano politiche o atmosferiche, terrene e ultraterrene.
Se il sociale è inteso come un effetto di senso (Landowski, Marrone) e se non c’è niente di sociale di per sé, ma cosa è ‘sociale’ si dà nelle reti che lo costituiscono e nelle mediazioni che avvengono al loro interno (Latour), allora oggetto questo numero può accogliere tutte le analisi afferenti alle varie correnti semiotiche (sociosemiotica, etnosemiotica, semiotica della cultura ecc.) accumunate dal medesimo intento di fare insieme critica e cura del senso sociale (Marrone, Migliore), oltre che dal comune orientamento epistemologico e medesimo organon dei metodi (Fabbri).
Di seguito alcune delle possibili linee di ricerca:
- Interazioni umani/non-umani e interoggettive (tra cui tecnologie e dispositivi smart, wereable objects, visori, smartphone etc.)
- Intelligenza artificiale nelle varie forme dell’integrazione con la vita quotidiana e lavorativa;
- Deep fake e conseguenti problemi relativi alla credenza e alla circolazione delle informazioni/immagini;
- Nuove forme di musealizzazione e artificazione (collezioni, installazioni, etc.);
- Politiche di comunità in ambito religioso e di culto;
- Ecologismi, relazioni con ambiente e animali, e riflessioni su prospettivismo e ontologie (Descola, Viveiros de Castro);
- Il ruolo della comunità nel fissarsi delle credenze (Peirce, Apel);
- Alimentazione e dietetica: tradizioni, cambiamenti e compresenza di differenti stili alimentari;
- Forme di vita e relazioni inter-soggettive individuali e tra gruppi (amicizie, alleanze, malintesi, conflitti etc.);
- Spazio e collettività (ridefinizione delle norme del convivere tramite oggetti, arredi: dal condominio alla casa);
- Istanze di purificazione dei collettivi (estraneo/proprio, puro/impuro, tossico/salvifico etc.);
- Mondi e valori del lavoro (processi di costruzione/rottura/mantenimento di team di lavoro e gruppi di ricerca, impatto dello smartworking etc.);
- Coesistenza tra generazioni diverse ed epoche storiche (cultural heritage, cura del patrimonio, cura e posto delle vecchie generazioni);
Riferimenti bibliografici
Barthes, R., 2002, Comment vivre ensemble, Paris, Seuil.
Fabbri, P., 1998, La svolta semiotica, Roma, Laterza; nuova ed. La Nave di Teseo, Milano 2023.
Greimas, A. J., 1966, Sémantique structurale, Paris, Larousse; trad. it. Semantica strutturale, Roma, Meltemi, 2000.
Landowski, E., 1989, La société réfléchie, Paris, Seuil.
Latour, B., 2005, Reassembling the Social, Oxford, Oxford University Press; trad. it. Riassemblare il sociale, Milano, Meltemi 2022.
Lotman, Ju., 2006, Tesi per una semiotica delle culture, a cura di F. Sedda, Roma, Meltemi.
Marrone, G., Migliore, T., a cura, 2022, Cura del senso e critica sociale, Milano, Mimesis.
Saussure, F. de, 1916, Cours de linguistique générale, Paris, Editions Payot; trad. it. Corso di linguistica generale, Roma-Bari, Laterza, nuova ed. 2021.
Scadenza per l’invio dei testi: 5 maggio 2024
Scadenza per l’invio dei testi revisionati: 25 giugno 2024
Pubblicazione: settembre 2024
I testi devono avere una lunghezza massima di 40000 caratteri ed essere accompagnati da un abstract in inglese di massimo 1000 caratteri.
Inviare le proposte ai seguenti indirizzi:
redazione.ec.aiss@gmail.com
g.bassano@lumsa.it
michele.dentico@uniroma1.it
bianca.terracciano@uniroma1.it
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