Comment vivre ensemble all’interno di un carcere attraversato da contraddizioni insanabili

  • Filippo Silvestri

Abstract

Il carcere non è una Babele felice, perché le molte lingue parlate tra le sue mura non si fondono e non si traducono in una dimensione condivisa comune. Ogni individuo rinchiuso in carcere vive la propria vita, provenendo da una storia unica che è diversa da quella dei suoi compagni di detenzione. Ogni progetto che abbia l’ambizione di riportare uno spazio carcerario verso una sua possibile redenzione o conversione è contraddistinto da caratteri utopici. Il carcere è il regno dei ‘sommersi’ e dei pochi che un giorno si ‘salveranno’. Lo studio delle istituzioni carcerarie, che qui proponiamo, combina alcune prospettive di studio architettoniche con altre semiotiche, per dimostrare come all’interno di un carcere non sia possibile un’idioritmia per coloro che sono costretti ad abitare in delle ‘celle’ che non sono destinate a dei monaci, anche se molte celle carcerarie, sotto certi aspetti, assomigliano a quelle di un convento. Lo spazio carcerario plasma le vite dei suoi abitanti attraverso percorsi fatti di corridoi, stanze e quant’altro ancora, per un tutto che funziona alla stregua di un meccanismo che non gira, perché si limita a ruotare intorno all’asse centrale di un Panopticon, che agisce come un faro che illumina tutto e tutti, senza dare alla luce nessuno.

Pubblicato
2024-10-14
Come citare
Silvestri , F. (2024). Comment vivre ensemble all’interno di un carcere attraversato da contraddizioni insanabili . E|C, (41), 264-276. Recuperato da https://mimesisjournals.com/ojs/index.php/ec/article/view/4448