Dalla semiotica a Latour, e ritorno. Traiettorie di un confronto aperto
Abstract
Ibrido non è un termine appartenente al metalinguaggio della semiotica, quindi perché prestare attenzione a questa nozione nella prospettiva dello studio della significazione? Le ragioni sono almeno due e sono interconnesse. La prima riguarda la crescente diffusione di questo termine sia nell'ambito della ricerca accademica sia nel dibattito pubblico. Di fronte alla proliferazione di questo termine (è bene ricordare che è tutt'altro che recente), viene messa in discussione la semiotica come disciplina fondata sullo sviluppo di procedure rigorose di scomposizione e analisi dei fenomeni di significazione al servizio di una critica della cultura, secondo l'ipotesi che la circolazione della parola “ibrido” sia il risultato di logiche di produzione e circolazione del significato tutt'altro che scontate. La grande diffusione di questo termine, dunque, non può che sollecitare la ricerca semiotica a misurarsi con un diffuso e persistente pregiudizio antropocentrico, basato sul presunto primato dell'azione umana, che distingue e separa inconciliabilmente soggetti e oggetti, natura e cultura, mettendo in discussione la persistenza di una dicotomia la cui fallacia è da tempo al centro delle ricerche più avanzate e autorevoli nel campo dell'antropologia culturale (Descola 2005; Viveiros de Castro 2009). Questa considerazione preliminare apre la strada alla seconda ragione che spinge il campo degli studi semiotici a interrogare i significati, la tenuta e, in alcuni casi, la retorica insita nei molteplici usi di questo termine. È l'occasione per esplorare le ricadute positive di un confronto ravvicinato con il percorso di ricerca di uno degli studiosi il cui lavoro è più frequentemente associato al concetto di ibrido: Bruno Latour, celebre teorico dei paradossi e delle aporie della modernità recentemente scomparso.
L'introduzione a questo numero monografico di E|C si propone di delineare le ragioni del crescente interesse nel campo degli studi semiotici per l'opera di Bruno Latour sui paradossi della modernità, evidenziando sia i motivi di interesse sia quelli di reciproco scetticismo che hanno segnato il dialogo tra prospettive di ricerca distinte ma feconde. L'articolo traccia alcune promettenti direzioni della ricerca semiotica contemporanea che evidenziano come la distanza tra l'opera di Latour e la teoria della significazione non consista in un divario incolmabile sul piano epistemologico, ma piuttosto in un disallineamento delle traiettorie di analisi che riguarda soprattutto il piano metodologico.