Abstract
Uno degli archetipi dell’insondabilità del male è stato rappresentato, nell’immaginario occidentale, attraverso la figura di Giuda Iscariota, assurta a sim- bolo del tradimento della missione redentrice di Gesù Cristo. Duplice è lo scoglio che l’ermeneutica teologico-filosofica cristiana del tradimento di Giuda ha dovuto affrontare: a) la necessità del tradimento, ovvero la necessità del male nell’economia cristiana della salvezza; b) il problema della libertà e della responsabilità della colpa che collide con l’eredità greca della predestinazione e del fato. Il tradimento di Giuda, così come il suo suicidio, hanno pertanto approntato il terreno per una radicale ridefinizione delle frontiere del bene e del male, del lecito e del proibito, del pentimento e del rimorso.
Alla discendenza genealogica di questa problematica teologico-filosofica appartiene altresì la sua variante secolarizzata nella paronimia ‘traduttore-traditore’ divulgata da Joachim du Bellay nella metà del sec.XVI, e successivamente complicata e co-implicata nel nesso tra traduzione, tradizione e tradimento che mette in questione il rapporto ambiguo tra “verità” e “fedeltà”. Perciò, nelle pagine conclusive, vengono tratteggiate alcune figure esemplari delle mitografie moderne del tradimento, sia nella letteratura – i romanzi di Nikos Kazantzakis, L’ultima tentazione di Cristo (e la trasposizione cinematografica realizzata da Martin Scorsese), e Giuda di Amos Oz- sia nelle manipolazioni politiche antisemite della lingua del Terzo Reich.