Abstract
Le interpretazioni di O. Rank e J. Lacan del racconto L’Horlà di Maupassant non convincono: esse rimandano l’Horlà alla figura del doppio. Una lettura attenta delle tre versioni del racconto mette in evidenza alcuni elementi che queste interpretazioni hanno trascurato e la cui considerazione permette una ricostruzione critica assai diversa. Ne L’Horlà, infatti, troviamo in una drammatizzazione letteraria proprio quegli aspetti che caratterizzeranno l’essere senza volto e senza immagine denominato da Freud Io-reale, che rappresenta il primo dei due tempi in cui si realizza la genesi dell’Io. È significativo che la figura dell’Horlà, così simile all’Io-reale e che non possiede nessuna delle caratteristiche del doppio, risulti dalla penna di uno scrittore che conobbe profondamente la regressione alla malattia mentale più devastante, e offra in tal modo un supporto clinico alla teoria generale della soggettivazione.