Abstract
Ogni confine ha una duplicità intrinseca: da un lato, separa, blocca, chiude, nasconde alla vista, impedisce di avanzare senza che si percepisca una differenza; dall'altro, offre un limite, e quindi una forma, a una o più dimensioni dell'umano - territoriale, espressiva, linguistica, giuridica. Senza confini ci sarebbe l'indistinto, l'informe. Il confine, come sappiamo, separa e allo stesso tempo collega, distingue e allo stesso tempo lega, unisce. Il confine è una zona di blocco e un luogo di passaggio: invisibile, inesteso, eppure efficace. Pensare al confine come valore e non come elemento limitante che vincola e inibisce implica una trasformazione del proprio sguardo e del proprio atteggiamento: evidenziando i fenomeni di interferenza culturale - economica, politica, filosofica, letteraria, biologica - si possono cogliere le culture proprio come luoghi di identità, mai neutrali, dove sempre si vive, si pensa, si cambia. Solo ponendosi ai margini ed esaminando il fluido movimento dei confini, ci si può porre al centro delle domande e dei cambiamenti stessi stimolando una trasformazione interculturale dell'atteggiamento critico che investe il pensiero filosofico.