Abstract
Quando la violenza della guerra ha travolto i corpi e distrutto città, storie e tradizioni, finisce per cancellare i tratti riconoscibili delle città per intere generazioni. Per questo motivo, quando le realtà devastate potranno finalmente essere ricostruite in tempo di pace, sarebbe giusto che urbanisti e architetti si ponessero la domanda etica di come sanare, attraverso il gesto architettonico, vite interrotte e tradizioni umiliate. L'alternativa ai piani "uberticidi" del nemico, volti a distruggere identità e appartenenze, passa attraverso un processo di ricostruzione. Certo, questo implica la domanda se costruire significhi cancellare ogni segno di barbarie o mantenere un filo ininterrotto con ciò che è accaduto, per questo il gesto architettonico ha un valore etico nel lenire l'odio e l'inimicizia interetnica. Un caso esemplare è la città di Sarajevo e la sua ricostruzione.