Abstract
L’identità narrativa è forse il concetto più noto dell’investigazione ricœuriana attraverso cui dar conto delle aporie di una soggettività vissuta e incarnata e di una alterità difficilmente comprensibile. Nella dialettica fra medesimezza e ipseità, fra soggettività e alterità, fra attività e passività, la narrazione offre una opportunità per cucire gli strappi fra sé e sé e fra le tante relazioni che ci costituiscono. Narrare per sedare tensioni e per sciogliere incomprensioni, ‘costruire testi’ per trovare nelle parole ‘scritte’ come nelle parole ‘dette’ suggerimenti e soluzioni poetiche alle tante problematiche che affliggono i popoli. Scrivere storie che è possibile ‘leggere’ come racconti di fatiche ma anche di rinascite. Ecco perché Ricœur tenta un innesto interessante fra narrazione e architettura, fra le identità di un popolo e le fisionomie di città. Riuscire a leggere le città come testi significa ‘vedere’ lo spazio cittadino come metafora di una identità complessa, in cui la diversità compromette e altera lo statuto stesso del soggetto, che spesso necessita di dirsi e di narrarsi per non smarrirsi del tutto.