Abstract
Così come per l’interpretazione Ricœur ha parlato di “arco ermeneutico” – che tiene insieme i termini che Dilthey aveva separato, ossia spiegare e comprendere – allo stesso modo si può leggere l’arco dell’identità che il filosofo francese ha tracciato fin da Le volontaire et l’involontaire introducendo per la prima volta l’espressione del cogito brisé, cogito infranto. A partire da questo concetto Ricœur ha tracciato l’arco dell’identità, di cui ha progressivamente mostrato la complessità, fino alla celebre formulazione dell’identità narrativa, nella quale si sintetizza il cuore di un soggetto che non è autoposizione ma (un) “chi” vivente di cui l’identità narrativa svolge la dimensione temporale. Un’altra forma, non ricœuriana, è l’identità oikologica, ossia l’identità di chi “è” e si scopre dimorando “davanti a” – davanti a un Tu, davanti al mondo, alla religione, alla cultura o davanti a un altro “chi”. Con ciò l’arco dell’identità si arricchisce: da singola tensione in serie di archi che, insieme, svolgono l’arcata che rilancia l’identità verso le nuove forme che l’esperienza potrà assegnarle.