Abstract
Il presente testo ripropone la questione della relazione tra follia e cura. Nel solco di una tradizione inaugurata dalla psichiatria fenomenologica e dagli studi di Michel Foucault, ci proponiamo di discutere la concezione della follia sottesa ad alcune teorie psichiatriche elaborate a partire dal XX secolo. Lo strumento concettuale attraverso cui confronteremo i vari modelli di cura psichiatrici sarà la narrazione: non c’è infatti alcun modello psichiatrico che possa eludere il confronto con la narrazione esistenziale dell’individuo malato. In primo luogo, perché non c’è processo di indagine psichiatrica che si collochi al di fuori di un’ermeneutica del vissuto soggettivo del paziente. In secondo luogo, perché la parola (scritta o narrata), producendo soggettività, consente di avvicinare l’esperienza esistenziale dell’individuo malato a quello sano. In ultima analisi, considerare la follia come un oggetto costituitosi recentemente come malattia e codificato da una scienza che, in quanto discorso razionale, le è estranea per definizione, mette in luce come il discorso sulla follia sia il resoconto esterno e parziale di un vissuto raramente messo a confronto con l’auto-narrazione. Se quindi la follia continua a interrogare la nostra soggettività a proposito del suo rapporto con il mondo e con ciò che è altro da lei è forse perché non si è mai dato un discorso che accettasse la possibilità concreta della radicale incomunicabilità tra follia e ragione e che, in definitiva, si limitasse ad esibirla.